Approfondimenti

Gestione del contenzioso tributario ed altri servizi di consulenza a Vigevano

Rivolgiti allo Studio Associato Ceratti di Vigevano se hai necessità di assistenza e consulenza tributaria, aziendale e fiscale.


In questa pagina potrai trovare schede informative relative ad argomenti utili per privati ed aziende.

Chiama lo studio

Auto aziendali – trattamento IVA e IIDD

 La detrazione dell'IVA e la deducibilità dei costi delle auto sono un tema in grado di influenzare notevolmente la scelta dell'acquirente. 


Posso detrarre l'IVA pagata come azienda? E se sono un professionista? Come mi devo comportare con i costi di mantenimento dell'auto? In questo approfondimento le risposte a queste domande.

  • modellino di un'automobile

    Titolo diapositiva

    Scrivi qui la tua didascalia
    Pulsante
  • Detrazione dell'Iva per le automobili : regole generali

    La norma che stabilisce la detraibilità dell’IVA sugli acquisiti di veicoli stradali e sulle relative spese, è l’art. 19-bis1 del D.P.R. 633/72 (testo unico IVA).

    Il testo in vigore nel 2018 non ha subito modifiche successive e prevede che la limitazione della detrazione iva al 40% riguardi «tutti i veicoli a motore, diversi dai trattori agricoli o forestali, normalmente adibiti al trasporto stradale di persone o beni la cui massa massima autorizzata non supera 3.500 Kg e il cui numero di posti a sedere, escluso quello del conducente, non è superiore a otto» che non sono utilizzati esclusivamente nell'esercizio dell'attività di impresa o della professione.

    Quindi in generale è possibile detrarre il 40% dell'IVA sostenuta congiuntamente all'acquisto dell'automobile. Questo limite vige in quanto c'è la presunzione che l'autovettura risponda ad un utilizzo promiscuo più che esclusivo, infatti molto spesso l'auto viene impiegata sia ai fini esclusivamente aziendali, che ai fini personali.

    Anche l'Iva, relativa alle prestazioni di servizi relative ai veicoli, custodia, manutenzione e riparazione, transito stradale, nonché l’acquisto di carburanti e lubrificanti, è ammessa in detrazione nella stessa misura in cui è ammessa in detrazione l’imposta relativa all’acquisto o all’importazione del veicolo.

    La percentuale di detraibilità è forfetaria, ovvero non è consentito dimostrare una quota di utilizzo effettivo maggiore al fine di godere di una percentuale superiore.

  • Detrazione IVA su auto e spese connesse

    E’ sparita, ma solo ai fini Iva, la distinzione tra autovetture, autoveicoli per trasporto promiscuo, falsi autocarri e autocarri, ed è stato superato anche il riferimento alla classificazione del Codice della strada.


    La detraibilità dell’Iva è la seguente:


    1. Detrazione 100% dell’Iva:

    veicoli stradali a motore per trasporto persone (es.: pullman) o cose (es.: camion) >= 35 q.li o con almeno 8 posti + quello del conducente, trattori, veicoli oggetto di produzione o commercio da parte del contribuente o senza i quali non può svolgere l’attivita’ (es.: taxisti, noleggiatori auto,), ecc;

     

    2. Detrazione limitata (40%) dell’Iva:

    veicoli stradali a motore per trasporto persone o cose, < 35 q.li e con max 8 posti + quello del conducente.

    Attenzione: certi piccoli autocarri < 35 q.li (es.: Fiorino) per i quali prima non c’era dubbio sulla detraibilità 100% dell’Iva, oggi sono catalogati in questa categoria e per essi la detraibilità 100% dell’Iva è subordinata alla dimostrazione da parte del contribuente dell’utilizzo esclusivo nell’impresa;

     

    3. Indetraibilità totale (oggettiva) dell’Iva:

    riguarda solo le moto > 350 cc. (è possibile usufruire della detrazione, solo per le imprese nel caso in cui sia oggetto dell'attività).


  • Deducibilità dei costi auto

    Le regole di deducibilità dei costi auto per imprese e professionisti, variano in funzione sia del tipo di veicolo che del suo utilizzo per l'esercizio dell'attività (art. 164 TUIR).

    Ricordiamo che la Legge di stabilità 2017 (Legge 232/2016) ha modificato i limiti di deducibilità previsti all'art. 164 comma 1 lett. b) del TUIR, dei veicoli a favore degli agenti di commercio in caso di noleggio a lungo termine, con l'intento di estendere anche al noleggio il trattamento di favore di cui già beneficiano questi contribuenti per l'acquisto delle auto. In particolare mentre prima della modifica, il limite di rilevanza fiscale per:


    • l’acquisto/leasing di autovetture era pari a € 18.075,99 per le imprese / lavoratori autonomi e € 25.822,84 per gli agenti di commercio;

    • il noleggio a lungo termine di autovetture era pari a € 3.615,20 sia per le imprese  / lavoratori autonomi che per gli agenti di commercio;

    a partire dal 2017, il limite di rilevanza fiscale del noleggio a lungo termine a favore degli agenti di commercio passa da € 3.615,20 a € 5.164,57.

    In concreto, come evidenziato nella Relazione illustrativa alla legge di bilancio, la disposizione vigente stabilisce che gli agenti o rappresentanti di commercio possono dedurre dal proprio reddito il costo di acquisizione di autovetture e autocaravan fino a un limite massimo di 25.822,84 euro, soglia del 43% più alta di quella (18.075,99 euro) riconosciuta a coloro che utilizzano la medesima tipologia di bene nell'esercizio di imprese, arti e professioni.

    Applicando la stessa percentuale di beneficio, con la modifica in esame, viene innalzato di 1.549,37 euro il limite di deducibilità dei costi di locazione e di noleggio per autovetture e autocaravan. Gli agenti o rappresentanti di commercio possono dunque dedurre dal proprio reddito tali costi fino a un limite massimo di 5.164,57 euro, rispetto alla soglia base di 3.615,20 euro.


    A partire dal 2018, per quanto riguarda l'esclusione delle auto dal super ammortamento, sono esclusi dal perimetro di applicazione dell’agevolazione gli investimenti in:


    • veicoli a deducibilità limitata di cui ex art. 164, comma 1, lett. b), TUIR,

    • veicoli concessi in uso promiscuo ai dipendenti ex lett. b-bis) ,

    • veicoli esclusivamente strumentali all’attività d’impresa e di uso pubblico di cui alla lett. a).

    Di fatto, quindi, l’esclusione dal beneficio riguarda l’intera categoria dei veicoli richiamati dal comma 1 del citato art. 164 (per tutto il 2017 l’esclusione era limitata ai veicoli di cui alle lett. b e b-bis, mentre l'agevolazione era stata estesa anche ai veicoli nuovi acquistati tra il 15.10.2015 e il 31.12.2016 prevedendo, oltre all’incremento del 40% del costo di acquisizione, anche l’aumento nella medesima misura (40%) dei limiti di deducibilità di cui all’art. 164, comma 1, lett. b), TUIR).

  • Riepilogo limiti deducibilità dei costi auto

    Per quanto riguarda i veicoli a deducibilità limitata, di cui all’articolo 164 comma 1 lettera b), quindi quelli non esclusivamente strumentali, esiste un doppio limite di deducibilità: un limite di deducibilità percentuale (20% in generale e 80% per agenti e rappresentanti) e un limite al valore fiscalmente riconosciuto.

    In relazione al costo massimo fiscalmente riconosciuto, sono previsti i seguenti limiti di costo, la cui eccedenza sarà indeducibile (vedi tabella sotto).


  • Auto date in uso promiscuo al dipendente: Disciplina attuale

    La tassazione del suddetto fringe benefit è attualmente disciplinata dall’art. 51, comma 4, lett a) del Tuir ai sensi del quale il valore imponibile è determinato assumendo una misura percentuale (30%) dell’importo corrispondente ad una percorrenza convenzionale annua di 15mila chilometri, calcolato sulla base del costo chilometrico stabilito dalle tabelle ACI, al netto di quanto eventualmente trattenuto al dipendente.

    La percentuale di tassazione attualmente in vigore pari al 30% continua ad applicarsi per i veicoli concessi in uso promiscuo con contratti stipulati fino al 30.06.2020.


    Nuove regole per i fringe benefit dal 1 luglio 2020


    Per i veicoli concessi in uso promiscuo con contratti stipulati a partire dal 1° luglio 2020, ai fini del calcolo, occorrerà considerare il grado di inquinamento del veicolo, espresso in termini di emissioni di CO2.

    In particolare, l'art. 1 comma 632 della legge di Bilancio 2020, modifica l’art. 51, comma 4, lett a) del Tuir, prevedendo che, l’attuale modalità di calcolo (ferma restando la percorrenza convenzionale di 15.000 chilometri calcolata sulla base del costo chilometrico ACI, al netto delle somme eventualmente trattenute al dipendente), cambierà con riferimento alla percentuale da applicare, nel modo seguente:


    • 25% per i veicoli con valori di emissione di CO2 fino a 60g/km;

    • 30% per i veicoli con valori di emissione di CO2 superiori a 60g/km ma non a 160g/km;

    • 40% per i veicoli con valori di emissione di CO2 superiori a 160g/km ma non a 190g/km;

    • 50% per i veicoli con valori di emissione di CO2 superiore a 190g/km.

    In aggiunta,  a decorrere dal 1.1.2021, fermo restando le percentuali sopra indicate per i veicoli con emissioni di CO2 sino a 160g/km, per gli altri veicoli ci sarà un ulteriore incremento pari a:

    • 50% per i veicoli con valori di emissione di CO2 superiori a 160g/km ma non a 190g/km;

    • 60% per i veicoli con valori di emissione di CO2 superiore a 190g/km.

    La strategia del legislatore, di prevedere una tassazione più aspra per le auto maggiormente inquinanti, risponde all’esigenza diffusa di incentivare l’acquisto di auto “ecologiche”.


    Deducibilità per l’impresa


    Per quanto riguarda il datore di lavoro, la normativa resta invariata e precisamente:


    • le spese e gli altri componenti negativi relativi agli autoveicoli concessi in uso promiscuo ai dipendenti sono deducibili in misura pari al 70% del loro ammontare (cfr. art. 164, TUIR);

    • non sono previsti limiti alla deducibilità del 70% dei costi sostenuti (al contrario di quanto stabilito nei criteri ordinari di deducibilità delle autovetture (20%, limite di 18.075,99);

    • la deduzione del 70% dei costi è subordinata al fatto che l’utilizzo promiscuo dell’autovettura da parte del dipendente avvenga per la maggior parte del periodo d’imposta.

tabella
  • consulente fiscale che stringe la mano a un cliente

    Titolo diapositiva

    Scrivi qui la tua didascalia
    Pulsante

Spese di rappresentanza 

Le spese di rappresentanza sostenute con finalità promozionali o di pubbliche relazioni sono deducibili dal reddito di impresa. La deduzione avviene con un sistema regressivo per scaglioni sulla base dei ricavi conseguiti. 

Detraibilità IVA delle spese di rappresentanza con importo unitario inferiore a 50 €.


Che cosa sono le spese di rappresentanza? Quando le spese di rappresentanza sono deducibili dal reddito di impresa? Quali criteri per la detrazione IVA delle spese di rappresentanza?

Se anche tu ti sei posto una di queste domande in questo contributo troverai la risposta che stai cercando. L’attuale disciplina delle spese di rappresentanza è contenuta nell’articolo 108, comma 2 del DPR n. 917/86 (TUIR). Articolo che nella sua formulazione attuale prevede che:


“Le spese di rappresentanza sono deducibili nel periodo di imposta di sostenimento se rispondenti ai requisiti di inerenza con decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze, anche in funzione della natura e della destinazione delle Stesse. Le spese del periodo precedente sono commisurate all’ammontare dei ricavi e proventi della gestione caratteristica dell’impresa risultanti dalla dichiarazione dei redditi relativa allo stesso periodo in misura pari: a) all’1,5 per cento dei ricavi e altri proventi fino a euro 10 milioni; dallo 0,6 per cento dei ricavi e altri proventi per la parte eccedente euro 10 milioni e fino a 50 milioni; c) allo 0,4 per cento dei ricavi e altri proventi per la parte eccedente euro 50 milioni”


Vediamo, quindi, con maggiore dettaglio la deducibilità ai fini delle imposte sui redditi e la detraibilità Iva delle spese di rappresentanza.

  • L’individuazione delle spese di rappresentanza: i criteri

    Le disposizioni attuative dell’articolo 108, comma 2 del TUIR sono contenute nel D.M. 19 novembre 2008 (e nella sua relazione illustrativa) che richiede:


    • Che il sostenimento della spesa abbia finalità promozionali o di pubbliche relazioni e risponda comunque a criteri di ragionevolezza e coerenza;

    • Che la spesa non sia collegata ad una controprestazione (criterio della gratuità).


    Sono individuate le seguenti tipologie di spesa indicate nella Tabella 1.


    Sono costi che mirano ad accrescere il prestigio e l’immagine dell’impresa. E, quindi, indirettamente creano una mera aspettativa di maggiori vendite, essendo tese a potenziarne le possibilità di sviluppo.

    Pertanto l’elemento fondamentale, posto alla base della definizione legislativa, è la gratuità, ovvero l’assenza di un corrispettivo o di una controprestazione in capo ai destinatari che fruiscono dei beni e dei servizi erogati.

    Altro elemento dell’inerenza sono le finalità promozionali o di pubbliche relazioni. Ne consegue pertanto che occorre promuovere, divulgare al mercato dei clienti o potenziali clienti, le attività, i beni o i servizi prodotti dall’impresa.

  • Esempi di spese di rappresentanza per le imprese

    Costituiscono in particolare spese di rappresentanza (ex D.M. 19 novembre 2008):


    • Quelle sostenute per viaggi turistici, nell’ambito dei quali si svolgono attività promozionali dei prodotti dell’impresa;

    • Quelle sostenute per feste e intrattenimenti organizzati in occasione di particolari ricorrenze della vita dell’impresa o di festività, nazionali o religiose;

    • Le spese sostenute per banchetti e intrattenimenti in occasione dell’apertura di nuovi uffici dell’impresa;

    • Quelle sostenute per feste e altri eventi conviviali in dipendenza di fiere e simili sostenute per l’impresa;

    • Quelle sostenute per servizi e beni distribuiti gratuitamente durante convegni, seminari e simili.

    L’elencazione delle spese indicate nel citato D.M. riveste carattere meramente esemplificativo. E’ quindi qualificabile come spesa di rappresentanza ogni ulteriore onere in possesso delle caratteristiche esaminate in precedenza.

  • Gli oneri che costituiscono spese di rappresentanza ex lege (comma 1)

    Le spese di rappresentanza si distinguono dalle spese di pubblicità in ragione della gratuità dell’erogazione di un bene o di un servizio nei confronti di clienti o potenziali clienti.

    Le spese di pubblicità sono invece caratterizzate dalla presenza di un contratto a prestazioni corrispettive con l’obbligo della controparte di pubblicizzare o propagandare il marchio o il prodotto dell’impresa al fine di incrementarne la domanda.


    L’articolo 1, comma 1, primo periodo, D.M. 19 novembre 2008 individua l’inerenza delle spese di rappresentanza nell’effettivo sostenimento di spese per erogazioni a titolo gratuito di beni e servizi effettuate con finalità promozionali o di pubbliche relazioni ed il cui sostenimento risponda a criteri di ragionevolezza in funzione dell’obiettivo di generare anche potenzialmente benefici economici per l’impresa ovvero sia coerente con pratiche commerciali di settore.

    • Gratuità: Mancanza di un corrispettivo o di una specifica controprestazione da parte dei destinatari dei beni e servizi erogati
    • Finalità promozionali o di pubbliche relazioni: Divulgazione sul mercato dell’attività svolta a beneficio sia degli attuali clienti sia di quelli potenziali. Diffusione e/o consolidamento dell’immagine dell’impresa volti ad accrescerne l’apprezzamento presso il pubblico
    • Ragionevolezza: Idoneità a generare ricavi e adeguatezza rispetto all’obiettivo atteso in termini di ritorno economico
    • Coerenza: Aderenza alle pratiche commerciali del settore

    Secondo la Circolare n. 34/E/2009 il requisito della coerenza deve essere verificato in alternativa a quello della ragionevolezza:


    • Se una spesa non è ragionevole in termini di costo/beneficio, ma risulta coerente con le pratiche del settore, essa può comunque essere considerata spesa di rappresentanza (deducibile entro il plafond);

    • Viceversa, se la spesa è ragionevole, essa può anche non essere coerente con le pratiche del settore.

  • L’ammontare delle spese di rappresentanza deducibili (plafond)

    L’ammontare delle spese di rappresentanza deducibili è commisurato ai ricavi e proventi della gestione caratteristica “risultanti dalla dichiarazione dei redditi relativa allo stesso periodo“. A tal proposito, i componenti positivi rilevanti per le società industriali e commerciali sono quelli iscritti alla voce A1 e A5. Mentre le società holding possono considerare a tali fini anche i proventi finanziari iscritti nelle voci C15 e C16 del conto economico.

    Le spese di rappresentanza, sono deducibili dal reddito imponibile secondo un sistema regressivo per scaglioni riassumibile come mostrato in Tabella 2.


    La quota delle spese di rappresentanza eccedente il plafond di deducibilità dovrà essere tassata nella dichiarazione dei redditi in via definitiva. Senza alcuna possibilità di riporto in avanti dell’eccedenza nei periodi di imposta successivi.

    Analogamente, nel caso opposto, un’eventuale eccedenza del plafond di deducibilità rispetto alle spese di rappresentanza effettivamente sostenute nell’esercizio, non potrà essere riportata ad incremento del plafond di deducibilità degli esercizi successivi.


    Esempio di calcolo della deducibilità della spese di rappresentanza:


    Se nel 2019 sono conseguiti ricavi per un ammontare pari a 60.000.000 di euro, il plafond di deducibilità delle spese di rappresentanza relativo al medesimo esercizio è pari a 430.000 euro, ottenuto dalla somma tra:

    – 0,015 x 10.000.000,00 = 150.000,00;

    – 0,006 x 40.000.000,00 (50.000.000,00 – 10.000.000,00) = 240.000,00;

    – 0,004 x 10.000.000,00 (60.000.000,00 – 50.000.000,00) = 40.000,00.


  • La deducibilità delle spese di rappresentanza per le imprese di nuova costituzione

    L’articolo 3, comma 1, D.M. 19 novembre 2008 prevede una particolare disciplina per la deducibilità delle spese di rappresentanza sostenute dalle imprese di nuova costituzione che può essere rinviata al periodo di imposta in cui vengono conseguiti i primi ricavi.

  • Le spese interamente deducibili (comma 5): spese di vitto e alloggio

    L’articolo 1, comma 5, D.M. 19 novembre 2008 individua una particolare tipologia di spese: si tratta di spese che meritano la piena deducibilità, salvo la verifica del limite del 75%, se si tratta di spese di vitto e alloggio. Si tratta delle seguenti spese:


    • Per ospitare clienti, anche potenziali, in occasione di mostre, fiere, esposizioni ed eventi simili in cui sono esposti i beni e i servizi prodotti dall’impresa o in occasione di visite a sedi, stabilimenti o unità produttive dell’impresa;

    • Per ospitare clienti, anche potenziali, sostenute nell’ambito di iniziative finalizzate alla promozione di specifiche manifestazioni espositive o altri eventi simili da parte di imprese la cui attività caratteristica consiste nell’organizzazione di manifestazioni fieristiche e altri eventi simili;

    • Sostenute direttamente dall’imprenditore individuale in occasione di trasferte effettuate per la partecipazione a mostre, fiere, ed eventi simili in cui sono esposti beni e servizi prodotti dall’impresa o attinenti all’attività caratteristica della stessa.


    La necessità di prevedere una specifica disposizione è legata al fatto che quelle appena elencate sono spese che possono essere confuse con alcune di quelle qualificate di rappresentanza nel comma 1 del decreto, mentre si è ritenuto che esse avessero diritto a beneficiare della piena deducibilità; al contrario di quella prevista al comma 1. L’elencazione delle fattispecie del presente comma deve intendersi tassativa, come confermato dalla Circolare n. 34/E/2009.


    Con riferimento alle spese per l’ospitalità dei clienti effettivi o potenziali:

    L’Agenzia delle entrate afferma che si possono considerare clienti potenziali quelli che hanno già manifestato, ovvero possono manifestare, interesse all’acquisto verso i beni o servizi dell’impresa, ovvero siano i destinatari dell’attività caratteristica dell’impresa in quanto svolgono attività affine o collegata nell’ambito della filiera produttiva.

  • I requisiti da verificare

    L’Agenzia delle entrate ha avuto modo di affermare che i requisiti richiesti devono essere considerati tassativamente:


    • Il requisito oggettivo, in termini di luoghi espressamente previsti. Se il cliente, per la firma di un contratto, viene invitato in una località balneare, ovvero in una fiera dove l’impresa non espone, tale spesa non è interamente deducibile (sarà quindi spesa di rappresentanza);

    • Il requisito soggettivo, in termini di ospitalità per i soli clienti. Se vengono invitati agenti, fornitori, giornalisti ed esperti, etc., tale spesa non è a priori interamente deducibile, ma va considerata secondo le ordinarie regole di inerenza (si ritiene spesa di rappresentanza).


    Tali spese devono però rispettare stringenti obblighi documentali, in particolare dovrà essere evidenziata la generalità dei soggetti ospitati.

    Visto il trattamento di favore per i clienti (effettivi o potenziali) l’Agenzia delle entrate si preoccupa di avere a disposizione gli elementi per collegare dette spese a tali soggetti. La documentabilità è talmente rilevante che un’eventuale irregolarità da tale punto di vista fa perdere il diritto alla deduzione integrale. Se la spesa è effettivamente stata sostenuta per l’ospitalità di un cliente, la questione documentale in alcuni casi non preoccupa: il biglietto aereo e l’albergo sono solitamente nominativi. Pare, invece, più difficile costituire la documentazione per altre spese, quali le spese di vitto (ad esempio, il pranzo al ristorante, in quanto sulla fattura non vengono stampati i nominativi dei soggetti che vi hanno partecipato).


    La circolare n. 34/2009 pare permettere l’integrazione della documentazione di supporto anche a posteriori, in occasione di un’eventuale verifica; onde mantenere memoria del motivo di sostenimento della spesa (integrando la descrizione del documento di spesa o della scrittura contabile in partita doppia).

  • La contabilizzazione delle spese di rappresentanza

    Con queste regole base è possibile fornire un quadro delle varie possibilità che si possono verificare nell’azienda e quindi fornire un riepilogo delle modalità di contabilizzazione, il relativo trattamento fiscale e la possibilità di detrarre l’Iva (ovviamente se esposta nel documento di spesa registrato). Dal 2009 le spese di vitto e alloggio sono deducibili nel limite del 75% del costo sostenuto: se tali spese sono anche spese di rappresentanza, prima occorre ridurle al 75% e poi si procede alla verifica del plafond. In altri termini, le spese per vitto e alloggio qualificabili come spese di rappresentanza devono essere assoggettate:


    1. In via preliminare, alla disciplina prevista dall’articolo 109, comma 5, TUIR per le spese relative a prestazioni alberghiere e a somministrazioni di alimenti e bevande (75% del costo sostenuto);

    2. Successivamente, alla verifica ai sensi dell’articolo 108, comma 2, TUIR ai sensi del quale l’importo delle predette spese deve essere sommato alle altre spese di rappresentanza e la cui deducibilità deve rispettare il plafond di deducibilità calcolato percentualmente sul volume dei ricavi.


    Diverso è invece il trattamento tributario delle spese relative a prestazioni alberghiere e a somministrazioni di alimenti e bevande che rientrano nella disciplina delle spese per “ospitalità clienti”: tali spese non sono da qualificare come spese di rappresentanza e non sono soggette al plafond di deducibilità ma sono deducibili al 75% del loro ammontare.

    Si consiglia pertanto, come suggerito dalla stessa Agenzia delle entrate nella citata Circolare n. 34/E/2009, di osservare nella registrazione dei documenti la seguente suddivisione conforme alle categorie del decreto, in modo tale da rendere possibile una corretta e immediata verifica della quota deducibile (sia in sede di compilazione della dichiarazione dei redditi, sia da parte dei verificatori). Vedere Tabella 3.


  • La disciplina iva delle spese di rappresentanza

    La disciplina Iva delle spese di rappresentanza prevede che sono detraibili le spese di vitto e alloggio per ospitare clienti per mostre fiere ed eventi simili. Ed anche le spese di vitto e alloggio per le trasferte dei propri dipendenti e/o collaboratori.


    Per quanto riguarda la detraibilità dell’ Iva, il DPR n. 633/1972 all’articolo 19-bis1 lettera h afferma che:


    “non è ammessa la detrazione dell’IVA relativa alle spese di rappresentanza, tranne quelle sostenute per l’acquisto di beni di costo unitario non superiore a €. 50”


    Quindi, riepilogando costi detraibili ed Iva detraibile al 100% fino ad €. 50,00, al di sopra di tale importo Iva completamente indetraibile.


  • La disciplina irap delle spese di rappresentanza

    Dal 2008 i soggetti aventi l’esercizio coincidente con l’anno solare, che determinano la base imponibile Irap in base alle risultanze di bilancio. Assumendo i componenti positivi e negativi come risultanti dal conto economico. Senza apportare le variazioni in aumento e in diminuzione previste per le imposte sui redditi.


    Ne consegue che, essendo le spese di rappresentanza classificate fra i costi della produzione in voci rilevanti ai fini del computo della base imponibile, esse siano integralmente deducibili per l’Irap. Senza soggiacere ai requisiti e alle limitazioni poste dal decreto per le imposte dirette.

  • Tabella 3
  • Dividendi tassazione

     I dividendi rappresentano gli utili derivanti dal possesso di un titolo partecipativo (quota o azione), in soggetti passivi dell’imposta sul reddito delle società (soggetti Ires, di cui all’articolo 73, comma 1 del DPR n. 917/86), ed in particolare:


    • Società di capitali ed enti commerciali residenti;
    • Enti non commerciali residenti;
    • Società ed enti non residenti.
    • modellino di un'automobile

      Titolo diapositiva

      Scrivi qui la tua didascalia
      Pulsante

    La categoria dei dividendi comprende, inoltre, gli utili distribuiti nell’ambito del recesso e dell’esclusione del socio, della riduzione del capitale esuberante e della liqudiazione, anche concorsuale, della società.

    L’imposizione fiscale dei dividendi in capo al socio è, tuttavia, differente, a seconda che si tratti, in primo luogo, di persona fisica che agisce “privatamente” o come soggetto imprenditore.

    In entrambi i casi, comunque, le due tipologie di contribuente siano accomunate dal principio di cassa.

    Ai fini della tassazione, rileva, pertanto, il momento dell’effettivo percepimento (c.d. “principio di cassa“), e non quello della mera maturazione, del dividendo.

    Vediamo, di seguito, le modalità di imputazione e di tassazione dei dividendi percepiti da società.

    • Tassazione dei dividendi: nozioni generali

      Il regime fiscale di tassazione dei dividendi si rinviene dal disposto:

      Degli articoli 44, 47, 59, e 89 del DPR n. 917/86, i quali ne prevedono la qualificazione ai fini reddituali e la disciplina a seconda della natura giuridica del soggetto percipiente;

      Degli articoli 27 e 27-bis del DPR n. 600/73, che regolano le ritenute da applicare all’atto della distribuzione degli utili;

      Dell’articolo 1 del D.M. 2.4.2008 che indica le percentuali di concorso al reddito imponibile dei dividendi percepiti.

    • Criterio di cassa

      Per la generalità dei soggetti d’imposta (compresi, quindi, i soggetti imprenditori), la tassazione dei dividendi avviene secondo il criterio di cassa. Rileva il momento dell’effettiva percezione, indipendentemente dall’eventuale iscrizione in bilancio in un esercizio precedente.

      Non assume rilevanza a tal fine, la data nella quale è stata deliberata la distribuzione degli utili.

    • Imponibilità dei dividendi

      Per effetto del combinato disposto dell’articolo 3 e dell’articolo 23 del DPR n. 917/86, i dividendi sono assoggettati a tassazione in Italia:


      Ogni qual volta il soggetto che li eroga è un soggetto residente (o una stabile organizzazione in Italia di un soggetto non residente). Questo indipendentemente dal fatto che il soggetto che lo percepisce sia residente o meno;

      Solo quando sono percepiti da un soggetto residente (o da una stabile organizzazione in Italia di un soggetto non residente), se il soggetto che li eroga è non residente.


      La tassazione dei dividendi varia a seconda delle caratteristiche del percipiente, ovvero:

      • Se il percipiente è una persona fisica che esercita l’attività imprenditoriale;
      • Se il percipiente è un soggetto “privato“.

      Infatti, possiamo avere due distinte fattispecie di tassazione.

    • Tassazione dei dividendi per il socio non imprenditore

      I dividendi percepiti da persone fisiche non imprenditori devono essere assoggettati ad imposizione nella dichiarazione dei redditi.

      Questo in presenza di specifiche condizioni e secondo particolari modalità, differenziate in base alla:

      • Qualificazione della partecipazione;
      • Al periodo di formazione degli utili;
      • Ed alla residenza del soggetto che li ha prodotti.

      Bisogna distinguere a seconda delle caratteristiche che la partecipazione possiede al momento della riscossione degli utili.

      Infatti possiamo avere partecipazioni qualificate e non qualificate.


      Partecipazioni qualificate e non

      La sussistenza del requisito della qualificazione della quota sociale è riscontrabile, sotto il profilo tributario, dall’articolo 67, comma 1, lettera c) del DPR n. 917/86.

      Secondo tale disciplina si considerano partecipazioni qualificate quelle che (a seconda della natura della partecipata), presentano le seguenti caratteristiche:

      • Società aventi titoli negoziati in mercati regolamentati:  
      • Diritti di voto esercitabili nell’assemblea ordinaria superiori al 2%;
      • Partecipazione al capitale sociale (oppure al patrimonio) eccedente il 5%;
      • Società non aventi titoli quotati:
      • Diritti di voto esercitabili nell’assemblea ordinaria superiori al 20%;
      • Partecipazione al capitale sociale (ovvero al patrimonio) eccedente il 25%.

      Regimi di tassazione a seconda della qualificazione

      La distinzione tra partecipazioni qualificate e non è importante.

      Questo perché sulla base di questa distinzione corrispondono due diversi regimi di imposizione fiscale del dividendo percepito.

    • Dividendi relativi a partecipazioni qualificate

      Se gli utili percepiti derivano da partecipazioni qualificate concorrono alla formazione del reddito imponibile complessivo limitatamente al:

      • 49,72% del loro ammontare, per i dividendi percepiti sino al 31.12.2016.
      • 58,14% del loro ammontare, per i dividendi percepiti dal 2017.

      Sugli utili non si applica alcuna ritenuta a condizione che sia dichiarata, all’atto della percezione, la presenza dei requisiti di partecipazione qualificata. Di conseguenza gli utili percepiti  devono essere indicati nella dichiarazione annuale dei redditi.

      A partire dal 2018 la Legge n. 205/2017 ha previsto l’applicazione di una ritenuta a titolo di imposta del 26%.

    • Dividendi relativi a partecipazioni non qualificate

      La società erogante i dividendi applica, al momento della loro corresponsione, una ritenuta del 26% (da luglio 2014) a titolo d’imposta.

      Ritenuta da applicare sull’intero ammontare percepito come dividendo. Questo, senza possibilità di opzione per la tassazione ordinaria per il socio percettore.

    • Dichiarazione dei redditi

      In sede di dichiarazione dei redditi, la persona fisica che ha percepito, al di fuori del regime d’impresa, utili da partecipazioni qualificate in società residenti in Italia, oppure da quote sociali – anche non qualificate – in imprese ed enti esteri di ogni tipo.

      Compresi quelli domiciliati in territori a fiscalità privilegiata, è tenuta a compilare la sezione I-A del quadro RL del modello Redditi Persone Fisiche.

      La relativa compilazione deve essere effettuata sulla base del principio di cassa, rilevando esclusivamente gli importi percepiti nel periodo d’imposta oggetto di tassazione. A prescindere dal momento in cui è sorto il corrispondente diritto, ovvero dalla data della delibera assembleare di distribuzione degli utili.

      La società erogante o l’intermediario finanziario applicherà la ritenuta a titolo di imposta nella misura del 26% sull’intero ammontare del dividendo.

      La ritenuta dovrà essere versata, entro il 16 del mese successivo al trimestre solare nel quale viene effettuata la distribuzione:

      • 16/4 per il I° trimestre;
      • 16/7 per il 2° trimestre;
      • 16/10 per il 3° trimestre;
      • 16/01 per il 4° trimestre.

      Il versamento avviene a mezzo modello F24, codice tributo 1035 ed indicando, come periodo di riferimento, l’ultimo mese del trimestre.

      Si ricorda che la suddetta ritenuta non si applica sui dividendi relativi alle partecipazioni inserite nel regime del cosiddetto “risparmio gestito” attraverso un istituto finanziario che si occupa di trattenere e versare la ritenuta per conto del soggetto percipiente.


    • Tassazione dei dividendi dal 2018

      Stante quanto detto sinora i dividendi percepiti da persone fisiche non imprenditori, sono soggetti a ritenuta alla fonte del 26%.

      In pratica, dal 2018 la tassazione dei dividendi prescinde dalla natura della partecipazione (qualificata e non). In entrambi i casi la società che eroga il dividendo è tenuta ad applicare sul dividendo erogato una ritenuta del 26%.

      Con questo regime il socio non imprenditore percepisce direttamente il dividendo al netto della tassazione. Per questo motivo per il socio non imprenditore il dividendo non deve passare da dichiarazione dei redditi.

      E’ stato previsto come periodo transitorio.

      In quanto per gli utili prodotti dalla società, o ente che li distribuisce, fino all’esercizio in corso al 31 dicembre 2017, e la cui delibera di distribuzione avviene dal primo gennaio 2018 al 31 dicembre 2022, la tassazione nei confronti del socio qualificato mantiene le regole precedenti indicate nell’articolo.


    • Tassazione dei dividendi per il socio imprenditore

      La disciplina applicabile ai soggetti imprenditori è differenziata a seconda della qualificazione fiscale del socio:

      • Imprenditori individuali e società di persone: articolo 59 del DPR n. 917/86;
      • Società di capitali: articolo 89 del DPR n. 917/86.

    • Imprenditori individuali e società di persone

      L’articolo 59 del DPR n 917/86 e l’articolo 1 comma 1 e 2 del DM 2/04/2008 stabiliscono che i dividendi percepiti da soggetti IRPEF (imprenditori individuali, Snc e Sas) – analogamente alle persone fisiche non imprenditori detentrici di una partecipazione qualificata – concorrono alla formazione del reddito nella misura del:

      • 40,00% se relativi ad utili maturati sino all’esercizio in corso al 31 dicembre 2007;
      • 49,72% qualora prodotti successivamente fino al 31 dicembre 2016;
      • 58,14% qualora prodotti dal 01.01.2017;
      • 100%, se derivano dalla partecipazione in una società localizzata in Stati o territori a fiscalità privilegiata.

      Gli utili erogati ad imprese individuali e società di persone non sono, pertanto, soggetti a ritenuta alla fonte (Circ. Agenzia Entrate n. 26/2004). In altri termini, per tali soggetti che applicano l’articolo 59 del DPR n 917/86 e non il precedente articolo 47 del DPR n 917/86, non assume alcuna rilevanza la qualificazione della partecipazione.

    • Società di capitali

      I dividendi sono una fattispecie reddituale passibile di subire una doppia imposizione:

      • Una prima volta in capo al soggetto collettivo all’atto della formazione;
      • Una seconda volta in capo al socio all’atto della distribuzione.

      Nell’attuale contesto normativo, la rimozione (parziale) della doppia imposizione economica è affidata al criterio dell’esenzione.

      Infatti, la società che percepisce il dividendo applica una esenzione dello stesso nella misura del 95%. Questo è quanto prevede l’articolo 89, comma 2 del DPR n 917/86.

      Tale disciplina prevede la tassazione ai fini IRES del 5% del dividendo incassato dal soggetto percettore residente. Questa disciplina è applicabile anche nel caso in cui la società partecipante non risieda nel territorio dello Stato. Salvo il caso in cui non si tratti di partecipante localizzata in Paese Black List.

      Al ricorrere, di questa ipotesi, come vedrai di seguito, il dividendo si rende integralmente imponibile ai fini IRES.

      Sotto il profilo contabile, per le società tenute alla redazione del bilancio d’esercizio occorre fare riferimento ai principi nazionali OIC 21 e OIC 25.

      Questi principi prevedono, nel caso di partecipazione valutata con il metodo del costo, l’imputazione a Conto economico dei dividendi per competenza.

      L’indicazione avviene alla voce C15 “Proventi da partecipazioni, con separata indicazione di quelli relativi ad imprese controllate e collegate“). L’iscrizione avviene al sorgere del corrispondente diritto di credito, anche se, poi, la riscossione avverrà in un successivo periodo amministrativo.


    • Effetti in dichiarazione dei redditi

      Da un punto di vista prettamente fiscale, si segnala, tuttavia, che se il dividendo è riscosso nello stesso esercizio di imputazione a Conto economico, va effettuata una variazione in diminuzione.

      La variazione si effettua nel quadro RF di Redditi  SC.

      La variazione in diminuzione si rende necessaria per la quota non imponibile del 95% del provento. Questo salvo che lo stesso derivi da una partecipazione “black list“, con relativo assoggettamento a tassazione integrale. Quindi, senza alcuna possibilità di rettifica decrementativa.

      Al contrario, se il dividendo, come spesso accade, è riscosso in un successivo periodo fiscale, nel quale diviene dunque imponibile, è necessario anche rilevare le corrispondenti imposte differite ai fini IRES.

      Le imposte differite sono in misura pari al dividendo moltiplicato per la quota imponibile dello stesso – generalmente 5%. Salvo che il provento derivi da una partecipazione “black“, per il quale assume rilevanza il 100% dello stesso – per l’aliquota IRES del 24%.

      E’, inoltre, necessario segnalare tale disallineamento civilistico-fiscale nella Nota integrativa al bilancio d’esercizio (articolo 27 comma 1 n. 14), c.c. ). Salvo che ricorra l’ipotesi di esonero prevista per i soggetti che redigono il rendiconto annuale in forma abbreviata (articolo 2435-bis comma 5 c.c.).

      Successivamente, a seguito dell’incasso del dividendo, il contribuente procederà ad una variazione in aumento, per un importo pari alla quota imponibile del dividendo, che – nel caso delle società di capitali, come anticipato – è pari al 5%. Sempre salvo il caso che il dividendo provenga da una partecipazione in una società localizzata in uno Stato o territorio a fiscalità privilegiata. In questo caso, invece, si ha l’integrale tassazione dell’utile percepito.

      Conseguentemente, devono essere altresì stornate le imposte differite a suo tempo stanziate.


    • Presunzione prioritaria di distribuzione degli utili societari

      Indipendentemente dalla delibera assembleare, si presumono prioritariamente distribuiti l’utile dell’esercizio e le riserve di utili. Questo è quanto prevede l’articolo 47 comma 1, ultimo periodo, del DPR n 917/86.

      Prima si presumono distribuite tutte le riserve diverse da quelle indicate nel comma 5, del medesimo articolo, per la quota non accantonata in sospensione di imposta.

      Tale disposizione si applica sia ai soggetti non imprenditori che agli imprenditori individuali e alle società di persone e capitali. Sul punto l’articolo 59, ultimo periodo, e 89 comma 4, del DPR n 917/86.

    • Riserve la cui distribuzione non è tassata

      In altri termini, se l’assemblea dei soci delibera di distribuire delle riserve di capitale, ciò non rileva ai fini fiscali.

      In ogni caso, si considerano distribuite prioritariamente le riserve di utili, ovvero l’operazione viene riqualificata da distribuzione di riserve di capitali in erogazione di dividendi, indipendentemente dalla data di formazione delle riserve, come chiarito dalla circolare Agenzia Entrate n. 26/2004.


      In tale sede, l’Agenzia ha altresì precisato che la presunzione in commento esplica i propri effetti soltanto in presenza di riserve di utili disponibili per la distribuzione. Non rilevando, quindi, a tale fine, le seguenti componenti di patrimonio netto. In particolare le riserve:

      • Legale;
      • Statutaria, in quanto vincolata nell’utilizzo dall’atto sociale stesso, ad esempio, con finalità di aumento del capitale sociale;
      • Da utili netti da valutazione in cambi;
      • Da valutazione delle partecipazioni con il metodo del patrimonio netto;
      • Per acquisto di azioni proprie;
      • Costituita prima della trasformazione progressiva con utili imputati ai soci per trasparenza;
      • Da deroghe in casi eccezionali;
      • Indisponibile derivante dall’adozione dei principi contabili internazionali
      • In sospensione d’imposta.

      A tale proposito, si ritiene che la verifica della consistenza delle riserve di utili disponibili ancora presenti nel patrimonio netto debba essere effettuata all’atto della delibera di distribuzione ai soci, e non a quella successiva di effettiva erogazione.

      E’, inoltre, opportuno che la partecipata comunichi ai propri soci – e, in ogni caso, agli intermediari tenuti agli obblighi di sostituzione d’imposta – la diversa natura delle riserve oggetto della distribuzione, ed il relativo regime fiscale applicabile.


    • Regime di tassazione dei dividendi di fonte estera

      Anche per i dividendi di fonte estera, valgono i criteri secondo cui:

      • L’utile concorre alla formazione della base imponibile nel limite del 5%;
      • Non trovano applicazione le ritenute (italiane).

      Questo è quanto prevedono i commi 2 e 3 dell’articolo 89 del DPR n 917/86. Sostanzialmente per l’impresa italiana, di cui all’articolo 73 del DPR n 917/86 non vi è differenza tra dividendo italiano o ricevuto da controllata White List.

      Nel caso in cui, invece, il dividendo sia erogato da società controllata residente in Paese Black List, la situazione cambia. In questo caso il dividendo percepito è totalmente imponibile.

    • Dividendi ricevuti da controllata black list

      La nozione di Paesi a fiscalità privilegiata si applica alla generalità dei soggetti d’imposta (persone fisiche e società). Questo in quanto la stessa viene richiamata sia:

      • Dall’articolo 47 del DPR n 917/86, che regola la tassazione dei dividendi percepiti dalle persone fisiche;
      • Dall’articolo 89 del DPR n 917/86, valevole per le società di capitali.

      Come si individua un paese a fiscalità privilegiata?

      Per verificare se uno Stato è da considerarsi a fiscalità privilegiata è necessario adottare questo criterio:


      IL LIVELLO IMPOSITIVO DEL PAESE ESTERO È INFERIORE DEL 50% AL REGIME DI TASSAZIONE ITALIANO


      Una volta individuato se il Paese di erogazione del dividendo è o meno a fiscalità privilegiata occorre fare riferimento alla regola di tassazione.


    • Possibili cause esimenti dalla tassazione integrale

      Accanto a questo regime naturale di tassazione dei dividendi Black List, è possibile arrivare alla disapplicazione di questa normativa.

      La disapplicazione della disciplina sui dividendi avviene quando si verifica una delle seguenti esimenti:

      • Prima esimente. La società partecipata svolge un’attività economica effettiva, mediante l’impiego di personale, attrezzature, attivi e locali;
      • Seconda esimente. Dalla partecipazione non consegue l’effetto di localizzare i redditi in Stati a regime fiscale privilegiato.

      Verifica della prima esimente

      La prima esimente trova riscontro ove sia possibile dimostrare che l’ente non residente da cui provengono gli utili svolte effettiva attività industriale o commerciale.

      Tale società deve svolgere questa attività in modo principale nel territorio di proprio insediamento.

      In questo caso si riconosce al soggetto controllante italiano, ovvero alle sue controllate residenti che percepiscono gli utili un credito di imposta. Credito di cui all’articolo 165 del DPR n 917/86.

      Tale credito è commisurato in relazione alle imposte assolte dalla società partecipata sugli utili maturati durante il periodo di possesso della partecipazione, in proporzione agli utili conseguiti e nei limiti dell’imposta italiana relativa a tali utili.


      Dimostrazione della seconda esimente

      La dimostrazione della c.d. “seconda esimente” permette di beneficiare:

      Della concorrenza al reddito imponibile IRES soltanto nella misura del 5% dell’ammontare dei dividendi percepiti nel periodo di imposta;

      Dell’esenzione per il 95% delle plusvalenze su partecipazioni che rispettano i requisiti per la participation exemption (articolo 87 del DPR n 917/86).

      Quindi, la dimostrazione della seconda esimente garantisce la rimozione delle penalizzazioni fiscali e la tassazione dei dividendi secondo le regole ordinarie.


      Ma come è possibile dimostrare la presenza di questa esimente?

      La seconda esimente si considera sussistente attraverso la dimostrazione che l’investimento nella società localizzata in uno Stato a fiscalità privilegiata non ha dato luogo a un significativo risparmio d’imposta.

      Ciò significa che detta presunzione può essere superata (anche) dimostrando che il carico fiscale scontato dalla partecipata estera è non inferiore alla metà di quello cui la stessa sarebbe stata sottoposta qualora residente in Italia.

      A tali fini è, tuttavia, richiesto che il confronto tra i rispettivi livelli di tassazione avvenga assumendo i rispettivi tax rate effettivi.


    • Tassazione dei dividendi: conclusioni

      Il fatto di percepire un dividendo comporta inevitabilmente una tassazione, diversa a seconda del fatto che sia percepito da una società o meno.

      Particolare attenzione deve essere posta al regime derogatorio per le persone fisiche, valido sino al 31 dicembre 2022.

    • consulente fiscale che stringe la mano a un cliente

      Titolo diapositiva

      Scrivi qui la tua didascalia
      Pulsante

    Il bilancio di esercizio

    Il bilancio di esercizio è formato da quattro documenti, ovvero dallo stato patrimoniale, dal conto economico, dal rendiconto finanziario e dalla nota integrativa. Infatti, all’art. 2423 c.c. si legge “Gli amministratori devono redigere il bilancio di esercizio, costituito dallo stato patrimoniale, dal conto economico, dal rendiconto finanziario e dalla nota integrativa”.

    Il bilancio di esercizio viene redatto dagli amministratori della società ed è un adempimento tipico delle società di capitali. Il documento viene depositato (in via telematica) presso l’ufficio del registro delle imprese (art. 2435 c.c.). 

    Ogni documento del bilancio è disciplinato da un preciso articolo del codice civile e nello specifico: lo stato patrimoniale dall’art. 2424, il conto economico dall’art. 2425, il rendiconto finanziario dall’art. 2425ter ed infine la nota integrativa dall’art. 2427 c.c.

    Il bilancio deve essere redatto in ossequio alla clausola generale del bilancio “Il bilancio deve essere redatto con chiarezza e deve rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società e il risultato economico dell’esercizio” (art. 2423 c.2).

    • Chiarezza, veridicità e correttezza

      I concetti di chiarezza, veridicità e correttezza non trovano nel codice civile e nei principi contabili nazionali emanati dall’OIC alcuna esplicita definizione. A tal fine, comunque, il legislatore civilistico consegna al redattore del bilancio un set di principi di redazione (art. 2423 e 2423bis) e di criteri di valutazione (art. 2426) attraverso i quali redigere un bilancio legale ovvero un bilancio redatto in ossequio alle norme. Un bilancio legale, conseguentemente, sarà anche un bilancio chiaro, vero e corretto.   

      La clausola generale di redazione del bilancio è norma sovraordinata alle altre norme. Il problema della redazione di un bilancio chiaro, vero e corretto è un problema essenzialmente comportamentale.

      Tale obiettivo sarà raggiunto solo se il redattore del bilancio seguirà la cosiddetta Regola d’Oro “Dovete consegnare agli aventi diritto tutte le informazioni su attività, passività, patrimonio netto, ricavi, costi e flussi di cassa che avreste voluto ricevere nel caso in cui la vostra posizione fosse invertita” (Dott. Bruno Ricci).

      Tale regola è stata portata all’attenzione degli International Accounting Setters (OIC, EFRAG, EFFAS, IASB, AIAF) in occasione del meeting internazionale tenutosi presso Intesa San Paolo (Piazza Belgioioso - Milano) il 18.09.2017: “Management should provide all the information about its assets, liabilities, equity, income, expenses and cash flows that it would like to receive had their position reversed” (to users of financial statements).

      Attraverso una esemplificazione e semplificazione, ideata dal sottoscritto (Il Bilancio Legale - Eclettica Edizioni), verrà spiegato come si costruisce un bilancio di esercizio senza il ricorso al metodo della partita doppia.

    • Un esempio pratico

      La società X Srl in data 01.01.2020 si è costituita presso il notaio Rossi. L’unico socio, il sig. Pippo, apporta euro 10.000 a titolo di capitale sociale (capitale di rischio) depositandoli in banca.

      Lo stato patrimoniale si presenterà come presentato in Tabella 1.


      Lo stato patrimoniale, disciplinato dall’art. 2424 c.c. è un prospetto a sezioni contrapposte. Nella sezione di destra metteremo le risorse finanziarie (sia di rischio che di credito) e nella sezione di sinistra gli investimenti/impieghi. Le due sezioni devono sempre pareggiare.

      Durante l’anno, dall’01.01 al 31.12, l’imprenditore svolge le cosiddette quattro operazioni di gestione al fine di ottenere un reddito positivo, ovvero un utile (art. 2247 c.c.). L’imprenditore ha deciso di rischiare il suo capitale solo sull’aspettativa lecita di ottenere un utile che si sommerà al capitale iniziale apportato (CS+Y).     

      Le quattro operazioni di gestione consistono: (i) nel reperire le risorse finanziarie; (ii) acquisire i fattori produttivi; (iii) trasformare i fattori produttivi in beni e/o servizi; (iv) vendere i beni e/o servizi.  

      Dalla gestione, quindi, ipotizziamo di aver ottenuto l'utile della Tabella 2.


      Il reddito di impresa ha una triplice dimensione: civilistica, fiscale e monetaria.


      Il reddito civilistico si determina ai sensi dell’art. 2423 bis n. 3 “si deve tener conto dei proventi e degli oneri di competenza dell’esercizio, indipendentemente dalla data dell’incasso o del pagamento” (Principio della competenza economica). Il reddito civilistico è la semplice differenza tra il valore di beni e/o servizi prodotti in un determinato arco temporale (Valore della produzione) e il valore dei costi sostenuti per l’acquisto dei fattori produttivi correnti necessari per produrre la produzione ottenuta (Costi della produzione).

      I costi dei fattori produttivi pluriennali vanno collocati, viceversa, nell’attivo dello stato patrimoniale ai sensi dell’art. 2424bis n.1 e poi ammortizzati ai sensi dell’art. 2426 n.2 del c.c.. L’ammortamento, quindi, rappresentando l’utilità annuale, espressa in termini monetari, dell’utilità pluriennale del fattore produttivo pluriennale rappresenta il costo annuale del costo pluriennale e in quanto tale sarà inserito tra i costi correnti del reddito di impresa.

      Dal reddito civilistico otteniamo il reddito fiscale (il quale si determina secondo le norme fiscali dettate dal Dpr. n. 917/86) sul quale andremo a calcolare le imposte correnti (che si pagano con il modello F24) e il reddito monetario, ovvero il flusso di cassa che si è generato dal reddito civilistico.  

      Quando il reddito civilistico e quello fiscale divergono, saremo in presenza del cosiddetto “doppio binario”. Quando il reddito civilistico e quello monetario divergono, nasceranno i crediti e i debiti.

      Le imposte correnti, a loro volta, sono cosa ben diversa dalle imposte di competenza/civilistiche che si calcolano sul reddito civilistico.

      La voce 21) del conto economico, che deve essere squisitamente di natura civilistica, risulta però influenzata da una posta di natura fiscale (voce 20 - le imposte correnti) con la conseguenza, quindi, che il risultato di tale voce non potrà mai assumere, di fatto, un valore civilistico puro.

      Per ovviare a tale situazione il legislatore ha ideato le imposte differite e anticipate (voce 20 del conto economico), che hanno proprio lo scopo di rettificare le imposte correnti, di natura fiscale, al fine di determinare, per differenza o per somma tra le imposte correnti e quelle anticipate e differite, le imposte di competenza e ottenere quindi alla voce 21) del conto economico un valore di natura civilistica (obiettivo che non sempre, però, potrà essere raggiunto).     

      I dati che si sono originati dal reddito civilistico saranno sommati o aggiunti a quelli iniziali presenti nello stato patrimoniale iniziale e otterremo così lo stato patrimoniale al 31.12 visualizzabile nella Tabella 3.


      Il reddito civilistico (utile o perdita) si somma al capitale di rischio di partenza apportato dal socio. Il capitale sociale e il patrimonio netto, in assenza del reddito, coincidono. Con il passare del tempo il capitale sociale e il patrimonio netto assumeranno valori diversi. Il patrimonio netto non può mai scendere sotto i livelli minimi previsti dal legislatore, ovvero i 10.000 euro per le Srl e i 50.000 per le SpA. Se il suo valore scende sotto questi livelli, scattano le conseguenze previste dall’art. 2484 c.c.

      Nello stato patrimoniale, quindi, abbiamo solo tre cose. Le attività, le passività e il patrimonio netto che rappresenta esattamente la differenza tra le prime due grandezze.

      Tale differenza prende il nome di equazione contabile (11.300-660) = 10.640.

      Il totale dell’attivo rappresenta il patrimonio aziendale. Il patrimonio netto (10.640), viceversa, non è altro che il patrimonio aziendale (11.300) al netto dei debiti (660). Il patrimonio netto, infine, rappresenta la parte di patrimonio aziendale che residua una volta saldati tutti i debiti aziendali e che sarà distribuito ai soci in caso di liquidazione della società. Il patrimonio netto, inoltre, ci consegna un informazione sul valore contabile del nostro business. Valore che potrebbe, comunque, discostarsi dal valore economico/mercato del business stesso causa il fatto che le poste di bilancio sono iscritte nello stato patrimoniale al costo di acquisto o di produzione (art. 2426, n. 1) e non a valori di mercato. 

      In altri termini, esiste una realtà contabile che potrebbe discostarsi da quella di mercato. Differenza che potrebbe sfociare in situazioni di annacquamento del patrimonio netto (ipotesi di sopravvalutazione) o di riserve occulte (ipotesi di sottovalutazione). Il patrimonio netto sarà annacquato quando i valori contabili delle poste dell’attivo patrimoniale sono superiori a quelli effettivi di mercato oppure quando le poste del passivo patrimoniale sono inferiori ai valori effettivi. Saremo, viceversa, in presenza di riserve occulte, quando i valori contabili delle poste dell’attivo sono inferiori a quelli effettivi di mercato e/o quelle del passivo patrimoniale sono superiori a quelli effettivi.

    • Le 7 regole per costruire il bilancio di esercizio

      Dall’esercizio esposto possiamo estrapolare “Le 7 Regole del Metodo Ricci” che ci permetteranno di redigere il bilancio di esercizio senza ricorrere al metodo della partita doppia (Frà Luca Pacioli).


      1. I totali delle sezioni dello stato patrimoniale devono sempre coincidere

      2. (Assets-Liabilities) = Equity

      3. Il patrimonio netto = capitale sociale +/- y civile

      4. (Ricavi - Costi) = y civile

      5. (Entrate monetarie - Uscite monetarie) = y monetario

      6. La differenza tra y civile e y monetario determina crediti e debiti

      7. Le imposte correnti si calcolano sul y fiscale


      Una volta acquisite queste sette regole, avremmo acquisto le nozioni base necessarie per affrontare il falso in bilancio e gli indicatori di crisi e di insolvenza di prossima emanazione da parte del CNDCEC (Legge n. 155/2017).


  • Tabella 3
  • Contatta uno dei nostri professionisti per richiedere un appuntamento

    Contatti
    Share by: